ANNABELLA DUGO GALLERIA D'ARTE MODERNA MESTRE
marzo-aprile 1980

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  • Presentazione a catalogo

Gli angoli segreti della memoria

Quello che colpisce nella pittura di Annabella Dugo è l'evidenza con la quale emergono quelle qualità che sono state sempre, e a torto, credute una prerogativa maschile: la capacità realizzatrice, la forza del messaggio e la sintesi delle forme. Sono qualità difficilissime da possedere tutte insieme, poiché poesia e mestiere raramente si fondono con coerenza.
Siamo in campo figurativo, ma non si dica che il figurativo è scontato e che certi caratteri stilistici sono da contemplare più nei musei che nelle mostre.
É moderna l'unità di misura con la quale si valuta oggi il prodotto artistico di tutti i tempi, sempre diverso, per un processo evolutivo inarrestabile, ma sempre sollecitato da quelle forze che regolano l'esistenza umana, in una parola dalle ideologie.
Realismo, impressionismo, espressionismo, astrattismo, surrealismo, tutte le correnti artistiche già note possono essere usate per esprimere creazioni nuove, mentre tecniche e concetti avveniristici possono risultare logori ed antiquati.
L'arte non è pura forma o distruzione di essa; non è solo spazio, volume o colore, ma vita, e tale si può chiamare se è vitale e cioè se rivela il tempo nel quale viene prodotta e se veste il contenuto con la forma più adatta. In un certo senso Annabella Dugo recupera certi valori peculiari agli stili cosiddetti "classici" e li adopera per comunicare problemi recentissimi, ma anche antichi e, primo di ogni altro, il drammatico rapporto uomo-donna, fatto di slanci come di prevaricazioni e di ambiguità.
Quando la pittrice ha cominciato in giovanissima età, essendo ancora oggi molto giovane, le sue sperimentazioni, era il colore in senso assoluto ad attrarre la sua attenzione, quel colore senza il quale il mondo sarebbe inaccettabile. Era evidente allora quanto lo splendore solare dei dipinti di Van Gogh o il decorativismo cromatico di Gauguin avessero colpito la sua fantasia; ma già la contemporaneità, con i suoi problemi, appariva nel discorso che la Dugo andava costruendo negli anni tra il '66 ed il '69.
Oggi quasi si punisce di quell'inizio scegliendo tinte difficili, impastate di ombre, a volte tenebrose come gli angoli segreti di quella psiche che ella indaga, in una ricerca d'identità, evidentemente pensata e sofferta.
É bello rimanere fedeli a se stessi, ma modificare i propri pensieri e i propri mezzi espressivi sotto la spinta degli eventi, perché dotati di sensibili antenne, è un'operazione ben più difficile e interessante. Non è trasformismo, ma partecipazione, in un tempo in cui si può evadere dalla realtà attraverso un tipo di problematica concettuosa fatta piú di parole che di azioni.
In fondo Annabella Dugo non ha deviato dal suo programma iniziale; cerca solo, dall'interno, le voci più adatte per comunicare quelle ansie che appartengono ad ogni cervello pensante, ieri come oggi.
Adelaide Cirillo Mastrocinque, Napoli, febbraio 1980.




RIFLESSIONI SU ALCUNE OPERE

"ANDROGINO DEI SETTE DOLORI"
Guardando questo quadro notiamo per prima cosa lo spazio "segnato" da quinte che dovrebbero in teoria dilatarlo, ma esso invece appare piuttosto chiuso, quasi mancasse l'aria necessaria.
Siamo in una di quelle sagrestie abbandonate, sature di incenso e muffa? No, forse siamo in un vecchio testro di posa. Vediamo sullo sfondo di broccati ed arabeschi una madonna addolorata in ricchi abiti seicenteschi con una fulgida aureola di stelle. Stelle anche sul manto nerissimo. La madonna si preme una mano sul petto e accanto alla mano, sembra mostrarlo, vi è un cuore in argento.
La raffigurazione ci riporta alle processioni, tipiche del sud Italia.
In primo piano c'è una figura che non è né uomo né donna. Una presenza incerta ed inquietante che, oltre ad essere ricoperta di bende, ha una maschera a ricoprire parte del viso. Questo personaggio ha in una mano, la sinistra, un pupazzetto infilato su di un bastoncino e al collo una croce appoggiata sul petto ma inquietante perché traspare dalla maglietta.
Verso chi guarda infine c'è uno specchio veneziano, poggiato su di un drappo. Tra rose e volute barocche, lo sguardo continua a muoversi senza riuscire a fermarsi.
Questo vuol dire una cosa molto semplice: il dolore dell'anima è un dolore molto più tragico e devastante del dolore fisico.
Questo dolore non si mostra, si copre, si nasconde, si seppellisce. Così in questo quadro sontuoso e decadente si perde di vista da dove si è partiti esattamente per confondersi con dettagli ed indugiare in una lettura del quadro quasi letteraria.. Ma sappiamo che l'angoscia ci accompagnerà finché continueremo a guardarlo.
Annabella Dugo.