Pittura su pittura per pittura (part.)


  • Presentazione a catalogo

Ogni processo creativo è eco, riverbero, traduzione di ciò che si agita nelle profondità dell'inconscio. Anche il momento intuitivo più originale trova sempre innesco nell'inconscio, in una rete invisibile di processi, di relazioni che piano piano acquistano velati significati simbolici e poi sempre più evidenza espressiva, cognitiva e di rielaborazione razionale o di creazione formale.
Nella nostra epoca, caratterizzata da frequenti attraversamenti nel tempo e nello spazio, da transitazioni dentro sensibilità e poetiche diverse alla ricerca di "consonanze" e di fondamenti capaci di restituire una qualche percezione dell'identità smarrita dell'essere, sempre meno l'espressione artistica è fatta coincidere con quello che sempre era stato ritenuto l'ultimo stadio dell'iter creativo, quello cioè di sistemazione degli impulsi indeterminati in strutture logiche consapevoli dopo un lungo esercizio (tirocinio) di controllo razionale e manuale.
Tutta l'arte del nostro secolo ha agito ed agisce per liberare la creatività in forme sempre meno imitative del reale e sempre più allusive al misterioso continente della creatività e della spontaneità immaginifica compresso e sommerso dall'esaltazione -per secoli- dell'abilità dell'occhio e della mano e della capacità ordinatrice della ragione.
Oggi si è imposta, invece, la convinzione che l'arte riguarda anche uno qualsiasi degli stadi del processo creativo, anche quello originario, quello dei primissimi impulsi, delle primissime reazioni al segno, al colore, alla materia. L'arte gestuale e l'arte informale attestano chiaramente questa situazione che, dopo gli azzeramenti dell'arte concettuale e povera, dopo la crisi dell'ottimismo dell'arte concreta e costruttivista, all'interno del fallimento dell'arte pop e di ogni manifestazione legata, dipendente o anche solo contaminata dalle ideologie, ritorna oggi a tastare liberamente i terreni molli e ricchi dell'inconscio, ora con le trans-avanguardie, con i post modernismi o i neoespressionismi più o meno selvaggi.
“Il campo delle rappresentazioni oscure è -scriveva Kant prima di Freud- il più vasto dell'uomo... più spesso siamo noi stessi gioco di rappresentazioni oscure; il nostro intelletto non può salvarsi dalle assurdità nelle quali lo getta la loro influenza se anche ne riconosce la natura illusoria". Ciò significa che le rappresentazioni oscure, gli affioramenti dell'inconscio hanno notevole capacità d'azione nell'intelletto e che è possibile rompere il predominio del "logos" e pescare suggestioni, energie, immaginazioni nell'Urszenen freudiana, cioè dentro scene primarie ed originarie, fra i "fantasmi" della Wunschphantasie originaria.
Così agisce Annabella Dugo, che intende sfuggire alla banalità e ripetitività del "logos" contemporaneo, organizzando la propria risalita alle origini non come una rivisitazione di uno stato psichico/sensoriale arcaico, sulla base di sollecitazioni percettibili, ma come nuovo racconto, nuova "storia" strutturata su registri fantasmatici non riducibili ad esperienze empiriche. In questa risalita alle origini Annabella Dugo libera il segno, dilata la forma, fa esplodere il colore; declina in modi molto personali e originali alcune delle fondamentali lezioni dell'arte contemporanea con grande elasticità e mobilità, in una "stream of consciousness" joyciana che coglie qua e là suggestioni (da Matisse, da Gauguin, da Soutine, da Chagall, dai surrealisti, dai "Neue Wilden", dal neosurrealismo di matrice fumettistica), senza scelte aprioristiche, e che, invece, sollecita l'immaginario poetico in una sorta di pendolarità che fa oscillare la ricerca dal polo dell'istintualità piu' libera al polo della razionalità controllata, dal gesto al mestiere, passando attraverso la memoria, la visionarietà, il sogno. Per la Dugo conta -romanticamente, in certo senso- piu' l'empito espressivo che non l'esercizio dell'occhio, della mano e della mente. Certo non violenta la sua già lunga formazione artistica, non riduce a cenere la memoria e l'abilità del già fatto, dell'esercizio, della scuola, ma, finalmente, intende dar libera voce a tutta la sua prepotente carica immaginativa, rivisitare i luoghi mitici di esotismo onirico, della felicità esistenziale di Kandinsky, di Mirò, i luoghi dell'utopia cantata nel colore, dell'immersione panica che nella pittura ritrova gioia ed energia vitale, libera il sogno e le paure -i fantasmi positivi e negativi-, disvela la speranza di continuità, voglia di futuro.
Il ritmo di segno/colore diventa sintassi mentale dell'espressività di Annabella Dugo coscienza sorprendentemente matura del mezzo come strumento di racconto che sa penetrare nel tessuto psichico e fondere micro e macrocosmo, storia del vissuto e della "memoria" e, insieme, proiezione, nostalgia di futuro. La sgranatura del segno/respiro fondo della materia e ritmo espressivo si ricompone in figure e forme per poi rinfrangersi, aprirsi, procedere per animate descrizioni, concitate scenografie.
E le figure (draghi, luoghi esotici, aerei, animali preistorici, vegetazione, idoli, felini) sono anche memoria e certo anche "letteratura" giovanile, che emergono come sogno e come invenzione in dichiarazioni enigmatiche e cifrate sostenute dalla forza del colore.
Lo spazio è catturato attraverso l'allusione segnico/cromatica di profondità e volumi virtuali, psicologici, attraverso un frequente ritmo di gesti reiterati, che tengono aperta e tutta "atmosferica” la consistenza delle figure, qua e là scomposta, qua e là diffusa, qua e là aggressiva o finanche consolatoria, illusiva, se non restitutiva, di storie e di sogni felici. E' comunque il segno che vibra nel campo cromatico a costruirsi in organismo, animale o vegetale che sia, ma senza mai chiudere le maglie in una "bella forma" compatta e definitiva, preferendo l'osmosi organica costante con l'ambiente, come emblema araldico dell'osmosi tra spirito e materia, tra realtà e utopia, tra pensiero ed energia esistenziale liberata.
Titoli (Grande urlo, Fuoco, Fiamme, Cenere e lapilli, Aereo in picchiata, Le fauci del mostro) e modi compositivi sottolineano ancor più il rapporto emotivo, "forte", urgente, di manifestazione e di racconto di sé e, insieme, di conquista e di consapevolezza di spazio di vita in cromatismi accesi, ma che Annabella Dugo sa esemplarmente controllare in virtù di una piena padronanza e di una matura sapienza visuale.
Giorgio Segato, gennaio 1989.