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  • Presentazione a catalogo

Le immagini di Annabella Dugo paiono lambite dal fiato remoto di De Lautréamont. Eros e dannazione: un eros che si esalta per funerei presentimenti e una dannazione contemplata similmente a traguardo felice.
Sono immagini che trattengono la nostalgia per un cosmo perduto, per sfatte eleganze, per tormentosi corrompimenti e che, in pari tempo, si adergono quali emblemi di una trama psichica che non può avere tramonto.
Moderne, ed anzi attuali in esclusiva ragione del linguaggio in cui s'inverano, provengono tuttavia da lontananze abissali. Sono filiate cioè dalle grandi stagioni della decadenza -dalla Grecia alessandrina, dalla Roma del Basso Impero, dal manierismo della Controriforma, dal simbolismo e dalle Secessioni dei decenni terminali dell'Ottocento- che furono poi le stagioni delle civiltà composite, e perciò non univoche, non squallidamente unilaterali.
Sotterranee relazioni analogiche le vincolano in effetti a questi cicli storici dove i codici della morale utilitaria s'infrangevano al prepotente insorgere di contenuti che piu' non potevano giacere repressi nelle zone d'ombra della psiche. E del resto io credo che Annabella nemmeno sia rimasta indifferente al barocco napoletano, alle sue offerte mortuarie che sembrano porte in sfida alla solarità del Golfo: corpi dilaniati dal martirio che tradiscono una voluttà algolagnica e raptus sessuali recepiti come estasi mistiche.
Le figure che Annabella convoca nei suoi dipinti sorgono dunque da strati antichissimi. Hanno per matrici Circe e Semiramide, Melusina e Madame Putifarre.
Lilith, sopra ogni altra.
Poiché Lilith è il simbolo dell'origine, l'idolum che precede e dunque ignora la divisione del sesso, la sede in cui gli opposti trovano conciliazione. Ma, accostata da un'artista dotata di un'ottica moderna, Lilith assurge inevitabilmente a segnacolo di alterità.
Attraverso un sapiente governo formale, Annabella ne rinnova di volta in volta le sembianze, avendo cura di attribuir loro quelle peculiarità che sono in grado di costituirsi quali referenti di un momento interiore.
Cosí, nelle connotazioni androginiche delle sue figure femminili, ora si discopre la disposizione all'arroganza baldanzosa della domatrice -una Salomè trapassata nella Lulu di Wedekind- ed ora il ripiegamento verso intorbidate solitudini, anche la propensione verso una condizione di schiavitu', generatrice però di piacere; e dalle figure dell'adolescente, ambiguo nella sua immaturità di tratto ginoide, tosto trapela l'efebica grazia di un Antinoo trascorso a sua volta nel corpo oltraggiato di San Sebastiano.
Un filo erotico lega infatti ogni mutazione tipologica, e la rafforza e la vivifica con l'immissione di linfe inquietanti, talvolta un poco perverse, talaltra venate da un sottile divertissement: comune denominatore che sigla un particolare modo di rappresentazione della bellezza dolorosa, leit-motiv delle epoche poc'anzi citate.
E da notare, a questo punto, che l'artista rimane assolutamente estranea ad ogni forma di compiacimento nei confronti del tema che va svolgendo. Direi anzi ch'ella lo evoca nella pluralità delle sue manifestazioni con una determinazione tanto lucida che sfiorerebbe la crudeltà se tosto non lo rivisitasse sul metro dell'ironia intellettuale che elimina ogni esibizionistica ostentazione per favorire invece un serrato gioco di allusioni.
L'iconografia che consegue a siffatta operazione è comunque coinvolgente, giusto perché pone d'improvviso allo scoperto una realtà desueta e sfuggente -autre- ma pur sempre esistente e controllabile attraverso l'analisi dell'io profondo. Una realtà che Annabella forse ha intravisto, o forse solo intuito, ma che ha senz'altro sollecitato la sua immaginazione creativa, dilatandola altresì verso ambienti e vesti e accessori compresi nel dominio delle sue dirette esperienze e divenuti adesso reperti della memoria.
Non per nulla il campionario di fantasmi da lei richiamato, in luogo di proporsi nelle divise demoniache che gli sono proprie, configura al nostro sguardo una moltitudine di sontuosi personaggi pronti a raggiungere i giardini popolati dall'unicorno e in essi disperdersi per celebrare un rito erotico.
Dagli abissi dell'esilio maledetto, insomma, questi fantasmi risalgono indenni per penetrare nelle arcane geografia delle favola: senza tuttavia nulla perdere della loro sostanza simbolica, della loro energia metaforica, quindi della loro intima significazione, le quali sono anzi incidenti all'estremo. Tanto che proprio a un poeta, Bino Rebellato, si deve quella che per me è la piu' puntuale definizione delle immagini di Annabella: essere loro cioè la testimonianza “di un alogico che tende sotterraneamente a identificarsi con un logico-altro, e viceversa”.
Dirò in conclusione che, come Beardsley, anche Annabella Dugo ha creato la sua Venusberg: fitta di umori segreti, di criptiche pulsioni, di magici veleni e decantata alla fine nel segno dell'incantamento poetico.
Carlo Munari, luglio 1980.