i




UGO FASOLO
La pittura della Dugo non può certo venire giudicata nelle riproduzioni in bianco e nero; troppo importante è l'apporto cromatico che interviene notevolmente con funzione di apporto espressivo che riesce a meglio comporre l'insieme dell'opera così che la sua presenza diviene quasi risolutiva per qualsiasi possibilità di conoscenza e quindi di giudizio.
Sono andato dunque a vedere presso la galleria San Giorgio le quattro opere lasciate a tale scopo. Sono stato lieto di constatare come l'opera della pittrice si dimostri ben superiore, nella sua completa realtà di quanto era possibile giudicare dalle riproduzioni stampate sul catalogo in mio possesso.
Nella sua presentazione D'Antonio parla della sapiente suggestione del colore, ed ha ragione, come pure dei dati compostovi di un barocco inventato e ne teme i pericoli, auspicando che essi non prevalgano tanto da sommergere l'idea matrice. Ma se il pericolo dei compiacimenti formali è giustamente da evitare, tale preoccupazione potrà essere posta in evidenza al momento che il linguaggio pittorico sia reso del tutto sicuro di sé ed abbia superato le ansiose ricerche linguistiche, come sempre accade nel fare dell'arte come pure nel fare della poesia.
Dei quadri che ho visto a Venezia uno in particolare ho a lungo ammirato: la ragazza accovacciata con un burattino rosso in mano. L'architettura della figura è costruita armonicamente dentro lo spazio dell'opera e senza rigida staticità. I rapporti dell'equilibrio spazio-oggetto, il suo senso emozionale sono risultanti dello sviluppo dei rapporti espressivi, dalle linee delle vesti, dei panneggi, del valore cromatico vivo e ben modulato in giusta coerenza col tono del ritmo formale.
D'Antonio parla anche di sapore antico che effettivamente esiste, ma esso non è invischiamento o remora dell'attualità poiché proviene da una naturale sensibilità cromatica e da un'intima musicalità della composizione, elementi validi e naturali all'uomo qualunque sia il tempo in cui vive. Forse che Donatello non è andato a Roma col Brunelleschi per studiare e rifare con spirito nuovo i concetti dell'antica statuaria? ...
Ugo Fasolo, luglio 1979
i




ALBERICO SALA
Un'opera da meditare è quella di Annabella Dugo, fervida di suggestioni letterarie e morali, che si risolvono, però, in termini di pittura.
Un universo di ambiguità, che sembrerebbe spaccato, con taglio manicheo, in verde fertilità ed essiccata, funebre (ma con tutte le morbide, elastiche insidie della scollatura ingannevole), e che, invece, istituisce una comunicazione inquietante, e rivelatrice, nel rivolo sanguigno, perduta linfa, del nastro.
Singolare è come l'artista riesca a far coincidere le ragioni della pittura, con una realissima invenzione, con un convegno di seduzioni e sortilegi, richiami naturali e tentazioni ad essere altro.
Milano, Novembre 1979.
i




BINO REBELLATO
Annabella Dugo è una delle poche pittrici italiane che io stimo. Benché giovane, merita il biglietto di libero ingresso nel regno del l'arte. Degna allieva del Maestro Armando De Stefano che, con il mestiere, le ha insegnato anzitutto ad essere se stessa.
Al centro dei suoi interessi, dentro la sua ansia profonda è l'Essere. L'Essere da cui avverte la propria origine, il suo farsi e apparire, come un suo ritmo. È l'Essere nel momento del suo scomporsi-ricomporsi in un processo di identificazione, del superamento della sua molteplicità e contraddittorietà, nel suo estrinsecarsi in semplice, pura unità formale, in figure e volti umani al di là di ogni ermafroditismo o bifrontismo che dir si voglia, immagini dell’incomunicabile-comunicabile, del reale-irreale, del razionale-irrazionale, dell'assente-presente, del visto-mai visto, del fisico e metafisico; o di un alogico che tende sotterraneamente a identificarsi con un logico-altro e viceversa.
Le rappresentazioni sono chiare ed esattamente delineate e ogni eventuale elemento di letterarietà o teatralità che vi faccia capolino è subito vinto e trasceso.
Il colore di Annabella è un sorprendente colore mediterraneo. E non perché è napoletana. Un colore di tesa e calda vitalità, che scaturisce e si irradia dall'interno delle forme. È un mondo, il suo, collegato alla società e alla cultura moderna.
“Nuova figurazione”? “Nuovo realismo”? Direi di evitare ogni etichetta, ogni indirizzo di comodo. La sua attualità è nell'affidarsi all'intuito libero dagli schemi e dai condizionamenti, che è pure un modo di autoesorcismo nei confronti delle prevalenti istanze sociali e ideologiche di moda. Una onesta e coraggiosa fedeltà alla propria coscienza, aperta all'inconscio, ma refrattaria a qualsiasi richiamo pseudoromantico.
Cittadella .
i




LUIGI TALLARICO
L'Arte un tempo era magia e serviva alla funzione di descrivere non solo dal vivo i riti magici, ma anche come evento già avvenuto. Anche oggi la psicologia del profondo concorda sul fatto che le immagini dell'arte non trasmettono solo un pensiero o un significato, pensato o visto, ma perfino i sentimenti radicati nell'esperienza posturale o nella vita del rimosso. Ed è per questo che Carlo Munari, a proposito della mostra che Annabella Dugo ha tenuto in questi giorni a Verona nella Libreria-Galleria Ghelfi, si domanda (e risolve) come la iconografia della interessante pittrice napoletana (anche lei artista rituale), inseguita e lambita dall'eros e dalla dannazione, dalla nostalgia per un cosmo perduto e dalla eleganza sfatta di un “liberty” perfido e malvagio, sia non solo il risultato di una scoperta di realtà, per quanto “desueta e sfuggente”, ma anche di un'analisi dell'io profondo. Sicché la realtà della Dugo, identificata e identificabile in quel “significato” rimosso, pensato o visto, si ripropone come un reperto della memoria, con tutte le alogicità e le vaghe dissonanze del ricordo.
La forza di quella “follia creativa” come la chiamava Platone, ha consentito “la divina liberazione” dell'autrice di quelle immagini, “dal suo modo di vivere” (la scienza psicanalitica ha nel frattempo confermato che “le emozioni rimosse perdono il loro ascendente sulla vita psichica quando si è trovato loro uno sbocco”), ma la forza di incantamento, che quei “reperti di memoria” conservano ancora per il riguardante, continua ad esercitare il suo umore segreto (“i magici veleni” di cui parla Munari), nonostante la decantazione poetica di questi segni, fortemente (e perversamente) nostalgici del mondo edenico perduto, tenacemente (e ambiguamente) legati ai temi del folklore napoletano.
“Il Secolo d'Italia” 4 marzo 1981
i




MARIA CAROLINA PELLIZZARI
Alla Galleria Due Ruote di Vicenza espone la pittrice Annabella Dugo in una mostra intitolata “Assolo”: Annabella Dugo è già nota al pubblico vicentino per le sue Personali alla Galleria Ariele, allo Studio Pozzan e per la recentissima Collettiva “Charta” a Villa Lattes.
Nella prima mostra, dedicata al miracolo di San Gennaro, la pittrice presentava quadri dalle ampie dimensioni che raffiguravano, accanto alle immagini del Santo protettore di Napoli, oggetti e mobili di uso quotidiano trasfigurati con intelligente ironia. Nella Collettiva di Villa Lattes affrontava temi ricchi di fantasia e di suggestione presentati in raffinate cornici antiche la cui serietà era smitizzata dalla semplicità e dalla povertà della carta da disegno su cui erano dipinte le immagini. Una creatività la sua che si presenta sempre più ricca e feconda, capace di esprimersi con sicurezza attraverso la forma, il segno, il colore e la presentazione dell'opera finita.
In questa personale alla Galleria Due Ruote un enorme quadro, raffigurante una enigmatica pantera blu su uno sfondo luminoso e coloratissimo, campeggia sulla parete di fronte all'ingresso. Per sfruttare nel modo migliore l'esiguità dello spazio espositivo, la pittrice è ricorsa ad un originale espediente. Ha indicato con un lungo quadro il percorso per raggiungere la saletta nella quale sono sistemati, attorno alla grande pantera blu, alcuni studi preparatori alla realizzazione del dipinto finale.
L'animale è colto in una posa aggressiva e maestosa, immerso in una natura lussureggiante ricca di piante e fiori dai colori vivaci e fantastici dove i rossi e i gialli esaltano il blu della sua pelliccia.
Alberi, erba, fiori, animali partecipano di una natura incontaminata e sono immersi in un'atmosfera magica e trasparente che l'artista crea e trasferisce sulla tela per presentarla a coloro che la guardano e comunicare la sua gioia, i suoi sogni, la sua speranza, le sue fantasie.
I dipinti sono appoggiati, questa volta, su cartoni da imballaggio appena abbozzati come cornici facendo così risaltare in tutto il loro splendore le immagini allegre e colorate.
Vicenza Oggi, 21 febbraio 1987.
i




MARIA TERESA FERRARI
I lavori di Annabella Dugo, vicentina, trai fondatori nel '86 di un movimento di tendenza denominato Gruppo Creativo, resteranno in mostra fino a metà aprile alla Galleria Nadar in Via Satiro, 5.
Tele coloratissime, composizioni dove appaiono in un viaggio fantastico, fiori, animali, alberi, mostri, piramidi, elementi architettonici. Le figure, che affiorano dai ricordi di letture giovanili, appaiono come in sogno, riaffiorano sulla tela in una scena spettacolare, carica di simboli e metafore lontane, rinvigorita da energiche pennellate che invadono ogni spazio pittorico. Sono luoghi dell'immaginario che invitano l'osservatore a entrare in un "video-viaggio" di grande impatto sensoriale, che porta lontano affondando le sue radici nel passato e nella storia dell'arte. Ogni dipinto racconta una sua storia, pur accostandosi, a volte, a lavori successivi sviluppando "un'idea-azione attraverso i momenti e i tempi del suo farsi".
Nella sua pittura si ritrova, come sottolinea il critico Giorgio Segato nella presentazione del catalogo, "una risalita alle origini, la rivisitazione di uno stato psichico/sensoriale arcaico sulla base di sollecitazioni percettibili, nella quale la Dugo libera il segno, dilata la forma, fa esplodere il colore declinando spesso in modo molto originale alcune delle fondamentali lezioni dell'arte contemporanea".
Annabella Dugo libera tutta la sua energia vitale, i sogni, le paure, le speranze. Racchiude in uno spazio catturato dal segno-colore, "sintassi fondamentale" della sua espressività, i personaggi, gli oggetti che riaffiorano nella memoria e si liberano nell'insieme scenografico del quadro. Un insieme di sensazioni, una "rielaborazione del vissuto", che trasformano l'atto del fare pittura in momento vitale.
Audace, provocatorio, aggressivo, a volte primitivo, il gesto di Annabella Dugo dà libero spazio a una prepotente carica creativa e immaginativa pescando energie, emozioni nella profondità dell'inconscio. In uno "stream of consciousness" joyciano -come cita lo stesso Segato- "coglie qua e là suggestioni ... sollecitando l'immaginario poetico in una sorta di pendolarità che fa oscillare la ricerca dal polo dell'istintualità piu' libera al polo della razionalità controllata, dal gesto al mestiere, passando attraverso la memoria, la visionarietà, il sogno"
Verona Magazine, marzo 1990.
i




ALESSANDRO SISTI
Le coloratissime tele d'Annabella Dugo si mostrano con aggressiva immediatezza come palesi raffigurazioni di luoghi dell'immaginario, ma attenzione: si tratta d'una evidenza superficiale che rischia di mistificare la loro piu' pregnante funzione di modulo d'interpretazione spazio-temporale. Dugo dispone infatti i suoi lavori secondo meditate configurazioni, che sono ora sequenziali e quindi ridefiniscono l'uso del tempo su basi personali, ora articolate reciprocamente sugli assi cartesiani spartiscono di conseguenza lo spazio che entra a far parte dell'opera.
Non è questa la sola caratteristica spaziale di Dugo, che già altrove ha invitato l'osservatore a vivere la sua pittura come luogo della percezione, proponendola direttamente come «videoviaggio» nel suo dipanarsi dipinto dopo dipinto.
Il ricorso ad una semiologia fortemente aggressiva derivata dalla maturità espressiva dell'autrice ne completa la metodica di comunicazione agendo come una matrice sul processo conoscitivo del visitatore tramite un significativo impatto sensoriale di cui l'opera è vettore.
Alessandro Sisti 1987, Venezia.
i




SALVATORE MAUGERI
La pittura di Annabella Dugo continua ad essere originata da un fermentante e proliferarsi di emozioni, tra continuità ed arresti, stacchi e riprese di una logica che è propria della rielaborazione del vissuto.
L’artista discopre la necessità di considerare l’atto del fare pittura come espressione diretta della vita, di pensiero e di giudizio. Rimane quindi lontana dal cedimento nostalgico in ciò che è avvenuto; conta la registrazione di ciò che è e che si scopre nell’atto stesso del vivere, ovverosia la somma, l’accumulo di una molteplicità di convergenze.
Assume quindi fondamentale importanza la durata o tempo necessario perché diventi possibile attuare tale processo di trascrizione conservando la complessità del fenomeno, il suo spessore e il suo modo di liberarsi da ogni pleonasmo.
Le immagini appaiono quindi in modo in sé concluso, sì che un dipinto fa storia a sé, senza tuttavia escludere il caso in cui piu' dipinti possano essere accostati, rappresentando la successione, ovvero lo sviluppo di un’idea-azione attraverso i momenti e i tempi del suo farsi.
Vicenza
i




LUIGI MENEGHELLI
….Gioco di immagini e gioco di suoni. Un tentativo, una ginnastica impressa ai vari linguaggi. Ma forse procedendo così si rischia di smarrire il senso dell'assunto di partenza, e cioè di una “cartella” intesa come “jam session”. E allora tutti a suonare tutto: Dizzy Gillespie, Miles Davis, Max Roach, Dexter Gordon, Lee Konitz, tutti ad esplorare, come ha scritto Peter Riley, il senso dell'occasione. Jazz, come totalità del presente e sua effimerità, come accade anche nelle incisioni della Dugo. Qual è il suo vero posto? Forse sul limite tra il noto e l'ignoto, tra l'essere e il non essere, tra il pieno e il vuoto.
Ecco allora i segni di Annabella Dugo: essi mirano al concetto di orizzonte, di paesaggio e invece danno solo il senso dell’illusione. E’ una costruzione di distanze che viene bruciata dal suo stesso inseguimento, che viene negata dalla sua stessa scrittura.
Verona 1988.
i




GIORGIO TREVISAN
In un periodo artistico in cui tutto nella ricerca visiva sembra attraversato da poetiche di segno riduttivo; dove tutto sembra essere sottoposto al deciso rifiuto delle istanze accumulative della pittura: di accettazione, sempre più generalizzata, del concetto di «perdita» come “luogo simbolico” dove si genera la pittura dell'essenziale e nulla piu'; c'è ancora qualche artista che opera sul versante opposto. C'è ancora chi attua una ricerca nel campo dell'abbondanza, della ridondanza neo-barocca. elaborando espressività cariche di simboli, di impulsi, di riferimenti e di rivisitazioni, nonché di riproposizioni di fantastici sogni, evidentemente non riducibili alle ragioni “dell'esperienza empirica”.
C'è ancora chi, come Annabella Dugo, le cui opere sono esposte in questi giorni alla galleria Nadar, sente infrenabile la necessità di praticare la pittura come “espressione diretta di vita, di pensiero e di giudizio” (S. Maugeri), ponendosi dunque in una situazione che rifiuta, contrapponendosi, certe raffreddate traiettorie sulle quali si adagia gran parte della ricerca visiva attuale. Liberando il segno, il colore e le forme, questa giovane pittrice di origine napoletana, ma da anni residente a Vicenza, intende mettere in scena lo slancio vitale ed energetico del sogno, della favola e dell'ironia.
Affiora evidente, nei suoi lavori, un forte e sincero richiamo alle “raffigurazioni di luoghi” e di simboli appartenenti alla sfera dell'immaginario, ai colori brillanti ed elettrici che invitano alla trasgressione dei moduli compassati e freddi della pausa e del silenzio. I suoi colori gridati, le sue figurazioni energetiche, i ritmi nervosi e concitati del segno sono i caratteri certi dai quali si genera, aggressiva e irriverente, una pittura esibita come una pagina visiva che freme, reagisce e cerca insistentemente la. meticolosa trascrizione di storie recuperate nelle sollecitanti memorie dell'immaginario collettivo.
Presentati in catalogo da Giorgio Segato, i lavori di Annabella Dugo sembrano ancora proporsi come tentativo di conquista dello spazio “attraverso l'allusione segnico-cromatica di profondità e volumi virtuali, psicologici; attraverso un frequente ritmo di gesti reiterati. che tengono aperta e tutta atmosferica la consistenza delle figure”, volendo in questo modo restituire allo sguardo e sulla superficie incandescente e agitata delle sue opere il beffardo sorriso dell'irriverenza e della derisione.
L'Arena di Verona, 28 marzo 1990.
i




NICOLA SCHMITZ
....Il punto di partenza è la carta, così crudele nel suo silenzio bianco; la carta così invitante e piena di infinite possibilità; la carta dipinta, disegnata, specchio ed eterno documento di un momento di arresto nel passaggio del tempo. Ogni tocco del pennello una parola, ogni cambiamento una interpretazione del precedente, ogni rimozione un gesto verso un respiro, un nuovo incontro. L'artista dialoga con se stesso attraverso l'opera. La sua mano esegue; i suoi occhi assorbono. Trasmettono alla sua mente colori, linee, forme, spazi bianchi, simboli, profumi: la mente centro di tutto.
La qualità dell'opera consiste nella purezza dell'essenza di pensiero di sensazioni, di emozioni trasferite in un linguaggio visivo adeguato. Nietzsche dice: “Migliorare lo stile vuol dire migliorare il pensiero. Chi non ammette questo subito, non se ne convincerà mai”...Annabella Dugo: composizioni complesse; fiori, foglie, animali, mostri, piramidi, alberi e tanto colore. Pennellate energiche che vitalizzano ogni forma, ogni spazio e si rinforzano nel loro insieme. Un gusto spettacolare a prima vista, solo per un attimo.
Ma l’opera ci porta avanti, ci fa sentire profumi sconosciuti, avvertire densi umori, udire suoni lontani.
Ma da dove vengono? Dobbiamo entrare ancora di più nell’opera, scopriremo il filo che li lega.
Camminiamo in un mondo di simboli: metafore di uno stato di estasi che passerà e, alla fine, la morte.
Vicenza 1986.
i




GINO GRASSI
... La Dugo, partita da un'analisi del dipingere, sostanziata da un'innegabile capacità di ironizzazione, s'è via via arricchita per strada di connotati sempre più personali.
La Dugo si dimostra, nelle opere più recenti, incredibilmente matura sia nella capacità di incidere nella sfera dell'ironia (qualità certamente istintiva) che nelle allegorie (e ciò dimostra l'intelligenza e la profondità dell'artista); cammina sul filo di un pop-surrealismo che ha piantato solide radici nel mondo di oggi, fatto di equivoci e di ambiguità, di rivoluzionarismo spesso fasullo e di insincero amore per il prossimo, ma anche di recupero di frammenti di antiquariato e di residui consumistici. Un mondo che si evolve sulla formula dell'”unisex” e che l'arguta giovane artista non poteva non sottoporre al bisturi della propria abilità di deformazione grottesca.
Si è detto che la vanità (anche quella puramente fisica) è femminile: la Dugo si diverte a dimostrare il contrario. Ma cosa in fondo noi siamo? Questo mi sembra l'interrogativo che sembra tormentare la pittrice che cerca di trovare la spiegazione del mistero con una ricerca nei bassifondi dell'essere.
Ma la Dugo non si fa mai vincere dai richiami di drammatizzazione espressionistica: riesce sempre a conservare leggerezza di toni, arguzia e stupore. Come dire che la giovane artista si mantiene padrona della materia da trattare anche quando è principalmente l'istinto a guidare la sua mano. E si diverte ad esaminare la casistica dell'imprevedibile e dell'imprevisto che la vita ci presenta ogni giorno.
Ora stupita, ora consapevolmente divertita, ora dominata dall'inquietudine, la Dugo si rappresenta e ci rappresenta. I colori sono chiaramente adeguati alle esigenze di ricerca.
Gino Grassi, dicembre 1978
i




SALVATORE MAUGERI
IL DISCORSO “MODA” PROPOSTO ATTRAVERSO PROGETTI, DISEGNI E SCHIZZI DELLE ALLIEVE DELL'ISTITUTO “B. MONTAGNA” ALLA GALLERIA DUE RUOTE DI VICENZA.
Deliberatamente le allieve dell'Istituto “Bartolomea Montagna” hanno voluto portare fuori dall'ambito strettamente scolastico gli esiti delle loro ricerche perseguite in un anno di lavoro sotto la guida della loro insegante, la pittrice Annabella Dugo, e affrontare il giudizio del pubblico, coinvolgendolo intorno al discorso “moda”. In tal modo i loro progetti, una serie nutrita di disegni e di schizzi selezionati tra i moltissimi realizzati durante l'anno scolastico appena concluso, si trovano esposti alla Galleria-Libreria “Due Ruote” di Virgilio Scapin.
La scuola esce dalle vecchie mura e trova nuovi spazi là dove esiste già una solida tradizione culturale per riconfermare la ragione che crea all'estero tanta attenzione e predilazione nei confronti della moda italiana, delle idee italiane espresse in questo importante campo dove il gusto e l'inventiva hanno modo di affermarsi portando come conseguenzaun notevole incremento all'esportazione e favorendo la bilancia dei pagamenti.
Questi obiettivi non vengono persi di vista dal corpo docente dell'Istituto vicentino condotto dal preside Bruno Cervellin e in questo senso si è espressa anche la signora Serena Serblin che ultimamente ha organizzato con il conte Marzotto la manifestazione “Moda e spettacolo”, i cui fondi sono stati devoluti all'organizzazione per la ricerca sul cancro.
La signora Serblin ha presentato il lavoro svolto dalle allieve, facendo altresì una breve carrellata sulle attuali tendenzemoda e sulle possibilità occupazionalidel settore nell'area delle indistrie vicentine.
Salvatore Maugeri
Il Giornale di Vicenza, 16 giugno 1984
i




CESARE PANSINI
Definire la pittura della Dugo il riverbero di un amplesso credo non sia un pensiero azzardato. Innanzitutto non è bruta descrizione di unioni bensì ricreazione di dimensioni interiori; in secondo luogo non si tratta di astratte idealizzazioni ma narrazione di episodi importanti per l'anima; infine il suo tipo di espressività è una vera e propria donazione di sensi. L'ingresso perciò nel suo mondo, nonostante la fantasmagoria di colori, non può avvenire che in punta di piedi; è rispetto del delicato equilibrio, al di là dei gioiosi e ammiccanti inviti del segno. Infatti l'ultima produzione si manifesta come creatività della creatività, rielaborazione di fusioni proposte all'occhio e al godimento, rigenerazione di emozioni carnali trascese nell'arte; si rigustano così esperienze che si porgono intatte. Particolarmente un dipinto mi pare emblematico; mi sembra di vedervi rappresentati insieme irrisione e omaggio all'uomo che dà tanto piacere; più precisamente si tratta di denigrazione e ammirazione nel contempo nei confronti dell'organo erettile che si staglia come colonna con ali; è un uccello pietrificato verso il quale un putto di spalle (una putta?) orina irriverente. Ma il fusto è grande e sopporta gagliardo l'atto di disprezzo dell'angioletto piccino. La sua in definitiva è difesa dal debito ovvero tentativo di svincolo riconoscendosi però dipendente; il controsenso è apparente in quanto la disistima birichina è opposizione al desiderio per paura di perdersi nella vertigine. Ma il desiderio ritorna insistente, possente e calamitante.
Come il racconto formale parla di antagonismo e di grate sottomissioni liberatorie, così si ripercorre il meccanismo sottostante dell'atto creativo; distruzione e ricomposizione sono ordite nel dipinto e sottolineano proprio con il riquadro ciò che si include e ciò che si esclude. Viene incluso il tutto, l'universo stesso unito per la sua riproduzione; per questo ogni rappresentazione di generi sessuali è ben riconoscibile ma parimenti ogni distinzione è sfumata perché persa nell'abbraccio dimentico. Viene escluso egualmente il tutto se non attinente alla vita più intima nella sua religione sensuale. In altri termini l'estasi è il segno più veritiero e l'essenza.
In definitiva all'interno del rapimento e della fecondità, sembra dirci la Dugo, si aprono giardini incantati di bellezza e armonia, cioè paradisi ultraterreni che portano in cielo; tutto ciò viene appunto rappresentato in alcuni dipinti in cui domina proprio il celeste.
Dunque il mondo della realtà operativa non è il vero mondo; è solo l'apparenza di ciò che sotterraneamente ci muove; è una manifestazione, magari inevitabile, che però pertecipa solo di striscio alla vivifica compenetrazione di anime. E' la mistica pagana del corpo che vibra nello spirito e viceversa.
Eros e Thanatos passano attraverso tela e pennello per ridarci il vago, cioè la realtà più profonda che viene alla luce.
Cesare Pansini, Vicenza.
Testo a catalgo della mostra "Nulla è come appare"
i




GERARDO PEDICINI
Chi osserva l'aperto scenario pittorico di Annabella Dugo si trova come proiettato, senza infingimenti ma con deliziosa malizia, in un ambiente neo-liberty. Tutto parla in tal senso: dagli oggetti teneramente ammiccanti come in un trepido scenario di una commedia ai personaggi, specie quelli femminili, che con pallido trucco occhieggiano, dietro volute floreali di separé e tra abat-jour accesi, per simboleggiare in ideale infranto di bellezza ed eleganza. E allora non può non chiedersi la natura di tali costanti riferimenti culturali: non può chiedersi cioè che cosa la Dugo abbia voluto romanticamente trasporre nelle vicende da lei immaginate che, da sole, alla luce trasparente di un colore impastato d'ombre, sembrano raccontare lontani miti e insorgenti trasporti intimi.
Che l'intento prevalente possa essere solo la creazione di un'atmosfera per provocare immediati effetti di consenso, è da escludere. Il trasportarci in un territorio di memorie, per noi così lontane, immetterci tra rose e lillà, col rischio, spesso, di cadere in un Kitsch da salotto di nonna Speranza, va ben oltre l'apparente piacevolezza dell'ondulazione lineare del ritmo delle forme.
La Dugo, insomma, trova nella stagione del liberty la propria stagione dell'anima. E guarda ad essa come l'unica che, senza né fughe né facili adeguamento, ha posto storicamente le ragioni e le essenzialità più profonde della vita. Per cui da riferimento ideale il liberty diventa riferimento reale, da analizzare nei suoi processi e da sorprendere nel culto avido dei segreti processi genetici, umani e naturali che siano.
Da qui la costante ricerca per la sinuosità della linea e il bioformismo dei personaggi. Ciò però non spiega, o spiega solo in parte, la proiezione della Dugo. Oltre il “trasporto ideale” c'è un circostanziato riferimento ideologico. Come dire: perdita d'identità, condizione femminile, frantumazione d'ideali. Da qui l'indagine sulla contraddittorietà delle nostre intimità più segrete a cui la Dugo guarda, con assorta inquietudine quasi per ritrovare, dietro i paraventi e le piume delle nostre nonne, gli aspetti ancora vivi di vitalità nascoste. E analizzandoli con una non sospetta eleganza e una non mai smentita adesione alla vita, ci investe di inquiete tracce memoriali come inquieta è la luce della nostra coscienza.
Gerardo Pedicini Napoli.
i




MARIA ROCCASALVA
Il lavoro di Annabella Dugo, come una rappresentazione teatrale, procede per immobilità successive nelle quali la tensione deriva da un effetto di movimento trattenuto, da una sorta di vibrazione immobile.
Il suo è un mondo di passioni pietrificate, dove ogni personaggio non ha altro avvenire vivo che lo spettacolo quotidiano della propria morte. Ma questo spettacolo, proprio come nello Spleen baudelairiano, basta a farlo esistere.
Annabella Dugo è infatti, una simbolista che, all'equilibrio della ragione, oppone un pungente senso del mistero e quell'inquietudine che le deriva dall'osservazione dei propri conflitti psicologici.
Fedele alla poetica simbolista di un mondo “invisibile” dietro l'immagine espressa, la Dugo fa sì che in ogni sua rappresentazione tutto venga ad aggiungersi senza collegarsi; con la sola differenza che ogni giustapposizione spaziale diventa successività temporale, ma senza altro legame, tra una scena e l'altra, che la vuota presenza di una notte eterna e senza fondo in cui naufraga la passività del personaggio. Qui, l'unico movimento che si intravede, è la possibilità stessa del movimento. Questa virtualità si incarna perfettamente nelle donne raffigurate: nulla si compie, ma tutto, -elasticità dei corpi, enigma degli sguardi, elettricità dei capelli,- annuncia che qualcosa potrebbe prodursi; che sta per prodursi; e questo qualcosa -tutto lo lascia presagire- è una sottile, premeditata vendetta.
Allucinante e tirannico, questo sentimento si annida alla soglia della coscienza, impedisce ogni fuga, blocca ogni azione, perché la lotta si svolge solo all'interno; ed è per questo che ogni personaggio è sempre combattuto e immobile.
Tutta la sua vita sottostà alla legge del passato remoto, per cui esso sembra sorpreso ad ogni istante della scoperta di ciò che prova e di ciò che è diventato. Il personaggio preferito dalla Dugo, per questa mistica rappresentazione è la donna: una donna fatale, ambigua, inafferrabile, sulla quale sembra aleggiare qualcosa di oracolare, di delfico; una donna che viene sempre rappresentata con un suo dèmone il quale, sotto forma di eresia o di peccato capitale, viene a pavoneggiarsi in quel teatro in cui tutti i possibili domani non sono che un perpetuo rimettere in gioco l'oggi; un teatro che concepisce il lavoro sotterraneo della vita come una fatica di Sisifo, destinata a ricominciare sempre daccapo.
Dilaniata dalla memoria che del passato riesce a presentarle solo una immagine senza gioia e senza tristezza, questa donna rimane al centro del suo spettacolo; e questo spettacolo non ha senso, addirittura non esiste se non in rapporto a lei.
Artefice della finzione e del travestitismo essa, tuttavia, riesce a dare un'illusione di movimento mediante la sinuosità della sua stessa figura. In lei tutto ondeggia: vestiti, fianchi , capelli, e questo ondeggiare, coniugando una pigrizia con uno slancio, rappresenta come il superamento di un limite, quel margine di libertà che la natura concede a ogni linea vivente. Essa, quindi, appartiene non al mondo del definito, ma a quello dei margini. Sempre collocata nello sfocato di un movimento, dentro le sue stesse linee fluttuanti e leggere, il suo ruolo primario diventa quello della fusione, dell'accoglimento; è il luogo privilegiato di tutte le transizioni possibili. Completamente sottomesse a un'estetica della transizione e della sfumatura, le rappresentazioni della Dugo dichiarano la loro completa disponibilità all'apertura proprio perché in esse ogni cosa possiede una sua sensualità morbosa; una sorta di dinamismo sinusoidale che permette a ciascuna di esse di infiltrarsi, di insinuarsi dentro l'altra. Che cos'è, infatti, la sinuosità, se non “un'oscillazione che cammina”?
Per sfuggire alla fatalità della sua solitudine e della sua discontinuità, il personaggio femminile della Dugo non ha altre possibilità che collocarsi nel fuggitivo, nell'ondeggiante, nell'infinito, ma è solo qui che tutte le cose si incontrano, si corrispondono, si compenetrano.
Maria Roccasalva, 1981
i




MARCELLO VENTUROLI
pagina su PLAYMEN HAPPENING
i